Dalla fine di marzo ai primi di agosto del 1919 in Ungheria operò una dittatura proletaria che avrebbe potuto estendere all’Occidente la rivoluzione che aveva portato al potere i bolscevichi nell’ex impero zarista. I due fenomeni erano strettamente collegati. L’andamento della prima guerra mondiale e quello della rivoluzione russa fecero sì che la reazione delle masse alla sconfitta dell’impero asburgico e all’incapacità delle classi dominanti ungheresi di gestire le ripercussioni della débâcle fornisse concretezza alle possibilità di sopravvivenza della nazione e sottraesse a una prospettiva generica lo spirito internazionalista dei proletari. Ciò mentre i vecchi «poteri forti» si ritraevano impauriti di fronte alle pretese delle potenze vincitrici della guerra, soprattutto della Francia, che voleva smembrare il paese per imporre il suo controllo sull’area danubiana e rafforzare il cordone sanitario contro il bolscevismo. Questi «poteri forti»lasciarono sole le formazioni politiche che avevano dato vita nell’ottobre 1918 all’esperimento repubblicano noto come «rivoluzione dei crisantemi» e concepito appositamente per salvarli, mentre la protesta sociale cresceva e si rafforzava ogni giorno di più. I socialdemocratici, già puntello essenziale dell’esperienza legata al nome del conte Károlyi, svoltarono allora «a sinistra» e si rivolsero ai rivoluzionari guidati da Béla Kun, da poco raccolti in un’organizzazione indipendente. Incautamente il partito comunista accettò l’offerta dei socialdemocratici negli ultimi giorni del marzo 1919 e realizzò un’unificazione dei due partiti operai, nell’illusione che di punto in bianco i riformisti avessero abbandonato il loro ruolo contrario agli interessi dei lavoratori…
Cod: 9788894615302
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