Adesso il Piave mormora la parole della memoria e nel Trentino i campi di battaglia di quella guerra, così feroce ma ormai lontana, sono entrati negli itinerari di un turismo rispettoso della Storia e del ricordo. Il Brennero non è più un baluardo fra due popoli ora saldamente amici e i piccoli musei che costellano il Trentino e il Tirolo sono luoghi che narrano la Storia dei nostri padri, dei nostri nonni. Si affacciano sulla Grande Guerra, su quella che fu una tragedia di popoli. Una guerra di soldati nelle trincee, di popolazioni sotto l’occupazione nemica, nella quale la sofferenza fisica e morale assunse proporzioni enormi negli assalti alla baionetta, sotto i bombardamenti tambureggianti, nelle case dove mentre entrava la fame, si attendevano notizie di genitori, mariti, padri, fratelli richiamati alle armi e spariti nel nulla del fronte. La guerra cominciò a cambiare la geografie e il destino dell’Europa, a ferire profondamente la sua anima: miseria e dolore e quando l’inutile strage finì, si trovò in un mondo di vedove e di orfani, con la misteriosa spagnola, la febbre che decimò l’Europa, poi con Stalin, Hitler, la terrificante persecuzione degli ebrei e la seconda guerra finita nel lampo della bomba atomica. Il Trentino soffrì immensamente. Quanti non erano adatti alle armi vennero trasferiti nei territori all’interno della monarchia, costretti a vivere nelle città di baracche in condizioni molto difficili come difficilissime erano quelle dei trentini portati, nei primi giorni del maggio 1915 in seguito all’avanzata del Regio Esercito, nel Regno d’Italia, internati in località sconosciute, le famiglie divise, i bambini senza la scuola, guardati tutti con sospetto da gente che non sapeva nulla né di Trento, né di Trieste, né di sacri confini. E poi c’è il dramma dei soldati trentini spediti in Galizia, sui Monti Carpazi e in Serbia. È identico al dramma di milioni di uomini ingoiati dalla Grande Guerra, la meglio gioventù del mondo finita sotto terra. Certo a Trento, sulla Piazza d’Armi, quella sulla quale oggi si eleva, dimenticato, il monumento in memoria di Alcide Degasperi, cantavano con orgoglio “Wir sind die Kaiserjäger” battendo con forza lo scarpone chiodato sulla terra. Partivano per fronti lontani. Adesso giacciono in fosse comuni sulle quali, in estate, fioriscono struggenti papaveri rossi.
Cod: 9788868760274
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